Epitteto dà un significato radicale e quasi cinico al concetto stoico di “indifferenti“.
Il corpo, la ricchezza, le cose esteriori in generale, di per sé non appaiono come bene o mali.
È sempre il nostro giudizio che li può trasformare, per noi, in beni o mali. Ma questo significa, appunto, che in ultima analisi, beni e mali sono solo dei nostri giudizi.

Ma come si può dire, senza cadere nel paradosso, che per esempio la morte, da sempre considerata dagli uomini l’estremo dei mali, non sia tale?

Epitteto risponde con la solita fermezza:
la morte è il termine del ciclo della vita, e quindi, è una legge a cui è sottoposta ogni cosa che sia nata; dunque, fa parte dell’ordine fisso delle cose, e, in quanto tale, è semplicemente assurdo definirla “male”.

Ma se, anziché basarci sul “retto giudizio”, noi giudichiamo la morte in ottica deformata, proveremo timore, angoscia e, in questo modo, ci apparirà come un male e ci recherà danno.

La morte non è evitabile; ma è evitabile l’errato giudizio che ce la presenta come male, e, in questo modo, sono evitabili l’angoscia e l’infelicità che ci può procurare.

Lo stesso deve ripetersi per le malattie, la povertà e tutte le altre cose che le persone solitamente definiscono “mali“. Non sono esse a recarci danno, bensì l’errata rappresentazione e il conseguente uso che di esse noi facciamo. E lo stesso si dovrà ripetere anche per quelle cose esterne che le persone definiscono “beni“, come la vita, la salute, la ricchezza e cose simili.

Epitteto afferma:

Il vivere è indifferente, ma non è indifferente l’uso di esso.
La salute è bene, la malattia è male? No, uomo. e allora, che cosa? Essere sano nobilmente è bene, ignobilmente, male.

Quindi, la vita, la salute, la ricchezza possono essere trasformate dalle nostre rappresentazioni e dal conseguente uso, in beni, oppure in mali.

Questo rapporto che Epitteto stabilisce fra l’uomo e gli oggetti esterni permette, al limite, di trasformarli tutti quanti in strumenti positivi, e di volgerli a proprio vantaggio.

Attraverso la giusta rappresentazione e il conseguente giusto uso, si può trarre vantaggio da tutte le cose: dalla stessa morte, dalle malattie, dalle avversità, dai parenti e dalle persone che non si comportano con noi nel modo corretto. L’uomo, infatti, può esercitare nei confronti di queste cose le sue virtù: magnanimità, assennatezza e indulgenza.

Ermete, secondo il mito, aveva una bacchetta magica che trasformava tutte le cose in oro, e noi, con i giudizi corretti e la corretta scelta morale, abbiamo anche noi una bacchetta magica che trasforma tutto in bene.

Ecco lo stupendo passo in cui Epitteto esprime questo meraviglioso concetto:

Ecco cosa vuol dire…trarre vantaggio dal prossimo!
Il mio vicino è cattivo? Per se stesso: per me è buono; allena la mia indulgenza e la assennatezza. Mio padre è cattivo? Per se stesso: per me è buono.

È la bacchetta di Ermete.
“Tocca quel che vuoi”, dice “e diventerà oro”. No. “Porta qualunque cosa, e io te ne farò un bene”. Porta la malattia, la morte, la povertà, l’insulto, la condanna a morte: tutto ciò, grazie alla bacchetta di Ermete, diventerà vantaggioso.

“Quanto alla morte, che cosa farai?”
“Che altro mai farò, se non ti serve da ornamento, o che tu possa mostrare, grazie ad essa, concretamente, che cos’è l’uomo che comprende la volontà della natura?”

“Che farai della malattia?”
“Ne mostrerò la natura, brillerò in essa, rimarrò costante e sereno, non adulerò il medico, non pregherò di morire.

Che cos’altro cerchi? Qualunque cosa tu mi dica, ne farò un oggetto lieto e felice, venerabile ed invidiabile”.
Diatribe, 3, 20, 11-15

La bacchetta magica di Ermete è, dunque, nient’altro che l’intelligenza, la quale, con la sua forza, vince tutto ciò che è materiale.

Bibliografia:
– Tutte le opere, Epitteto

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