Di fronte a ogni singola cosa che ti attragga, ti si presenti utile o abbia il tuo affetto, ricorda di pronunciarti sulla sua vera natura, a cominciare dalle più piccole. Se ti piace una pentola, dirai: “Mi piace una pentola”, quando andrà in frantumi non ne sarai turbato. Se baci tuo figlio o tua moglie, ripeti a te stesso che stai baciando un essere umano: la sua morte non ti turberà.
Epitteto, Enchiridion, 3
Questo passo dell’Enchiridion (Manuale) di Epitteto è probabilmente quello più duro da assimilare di tutta la letteratura stoica e spesso spinge le persone a prendere completamente le distanze dalla filosofia stoica.
Ad esempio, immaginiamo che tu sia un genitore (o lo sei davvero) e, quando ti ritrovi a leggere questo passo di Epitteto, non riesci a trattenerti dall’arretrare istintivamente di fronte a esso. Epitteto si aspetta davvero che tu baci tuo figlio o tua figlia ripetendo a sé stesso che è mortale o domani mattina potrebbe non svegliarsi? Eppure, se lo analizziamo per bene sia nel momento storico in cui viveva, sia al giorno d’oggi, il suo ragionamento ha senso.
Epitteto visse sotto l’impero romano tra la fine del I secolo e l’inizio del II secolo d.C.
Anche se stava per iniziare il regno dei cosiddetti cinque buoni imperatori (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio), che rappresentò il punto massimo della civilizzazione romana, la vita non era facile né priva di tragedie per nessuno, dal più umile schiavo fino all’imperatore in persona.
Un paio di statistiche possono rendere meglio l’idea: sotto l’imperatore Marco Aurelio, che visse poco dopo Epitteto, l’impero fu colpito da un’epidemai che uccise cinque milioni di persone, incluso Lucio Vero, che fu coimperatore di Marco Aurelio per otto anni. Lo stesso Marco ebbe tredici figli, di cui solo quattro raggiunsero l’età adulta, nonostante lui fosse l’uomo più potente di tutto il mondo occidentale e il suo medico personale fosse Galeno, il dottore più celebre dell’antica Roma.
Quando Epitteto parla della possibilità di dare a tua moglie e ai tuoi figli il bacio della buonanotte e di non rivederli il giorno dopo, non sta parlando in termini ipotetici.
Sicuramente, risponderai, che noi non viviamo nell’antica Roma.
Abbiamo quasi tutti l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità, la mortalità infantile è in calo e l’aspettativa di vita in crescita. Tutto questo è vero, ma è anche vero che una catastrofe potrebbe colpirci in qualunque momento.
Una parte importante dell’addestramento stoico è mirato a prepararsi alle catastrofi.
Mi auguro con tutto il cuore che tu non debba mai vivere la perdita di un figlio, ma è probabile che ti troverai ad affrontare la perdita dei tuoi genitori e forse, un giorno, la perdita di qualcuno dei tuoi amici e parenti. Come le affronterai? Queste perdite metteranno a dura prova il tuo carattere.
Se Epitteto parla di non essere turbato da questi avvenimenti apparentemente catastrofici, Seneca ci va più leggero e considera che la sofferenza e il lutto siano aspetti naturali e inevitabili della natura umana. In una lettera al suo amico Lucilio parla di consolare i familiari di un defunto e scrive:
“Ora ti consiglio forse la durezza e voglio che il tuo volto rimanga impassibile perfino durante il funerale e non concedo nemmeno che ti si stringa il cuore? No, niente affatto. È crudeltà, non virtù […]”
Pensa per un momento al modo in cui reagiamo quando qualcun altro affronta un lutto, anche se si tratta di qualcuno a cui teniamo o a cui vogliamo bene. Seguendo il consiglio degli stoici, cerchiamo di consolarlo mettendo le cose in prospettiva. Gli ricordiamo che la vita non è sempre giusta, che il lutto è una cosa naturale, che dovrebbe ripensare ai momenti felici che ha condiviso con la persona deceduta e che dovrebbe guardare al futuro, alle tante cose che può ancora fare e alle tante persone care che gli restano. Sono consigli sensati e funzionano. Non banalizzano né sminuiscono il dolore per la nostra perdita e non ci rendono freddi o incuranti. Mettere le cose in prospettiva ci rende più attenti a ciò che abbiamo e spesso non apprezziamo, e più resilienti di fronte alla tragedia.
Epitteto consiglia ai suoi studenti di iniziare prestando attenzione alle questioni più piccole per poi arrivare ai problemi più grandi. Immagina che si rompa la tua tazza preferita. Invece di arrabbiarti o agitarti, fermati un secondo a osservarla e ripeti dentro di te:
“Allora, era una tazza e sapevo che si sarebbe potuta rompere, ma mi ha permesso di godere il piacere di tanti caffè!”.
Poi, lentamente, affronta questioni più complesse. Può darsi che la tua macchina abbia subito danni in un incidente. È una bella sfortuna, ma può capitare che le auto siano coinvolte in incidenti, è parte della loro natura. Ringrazia per i tanti bei viaggi che hai potuto fare finché la macchina funzionava.
O magari, parte dei tuoi risparmi è svanita per colpa dell’ultima flessione del mercato. Be’, è così che funzionano i mercati e, dopotutto, hai tratto vantaggio dai momenti favorevoli per pagarti le vacanze o comprarti una casa nuova.
Ancora una volta, il punto non è diventare insensibili o indifferenti nel senso moderno del termine, ma diventare indifferenti in senso stoico: hai sempre la tua virtù e il tuo carattere che ti permettono di gestire tutto ciò che l’universo mette sul tuo cammino.
La parola che usiamo per descrivere questa attitudine è equanimità.
L’equanimità ti dona la serenità per affrontare sia i momenti buoni, quando potresti lasciarti trasportare eccessivamente, sia quelli cattivi. È in questa rotta che gli stoici cercano di mantenere tutta la loro vita.
Bibliografia:
– Manuale di Epitteto
– Lettere a Lucillo di Seneca
– Come essere stoici di Massimo Pigliucci
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