…dunque, esercitati a dire, a ogni forte rappresentazione che ti occorra: “Sei una rappresentazione, e nient’affatto quel che sembri di essere”; poi, indagala ed esaminala in base a queste norme che possiedi, in primo luogo e soprattutto in base a questa: ha a che fare con quel dipende da noi, o con quel che non dipende da noi?
Se ha a che fare con quel che non è nostro, abbi sottomano la risposta: “Non mi riguarda”.
– Epitteto
Quello qui formulato è il classico concetto della bipartizione della realtà.
Epitteto ci invita a esercitarsi in quello che molto probabilmente è il più fondamentale tra i suoi insegnamenti: ::esaminare costantemente le nostre “impressioni”, ovvero le nostre prime reazioni a eventi, persone e cose che vengono dette, facendo un passo indietro per lasciare spazio alle decisioni razionali, evitando reazioni affrettate dettate dalle emozioni e chiedendoci ogni volta se quello che ci sta capitando dipende da noi (nel qual caso dovremmo passare all’azione) o se invece non è in nostro potere (e allora non dovremmo considerarlo come qualcosa che ci riguardi).::
Per esempio, qualche giorno fa mi sono infortunato durante il mio workout mattutino. Ho spinto troppo con lo swing e mi sono beccato una bella contrattura ai muscoli lombari della schiena. Il dolore mi ha quasi del tutto immobilizzato per 48 ore, impedendomi di lavorare al computer e restare alzato per fare qualsiasi cosa.
Normalmente qualcosa del genere è considerato una “brutta esperienza”, della quale la maggior parte di noi tenderebbe a lamentarsi e per cui vorrebbe essere compatito.
Tuttavia, la muscolatura del mio corpo e la contrattura che era in atto non sono sicuramente in mio potere (ma lo è stato spingere troppo nell’esercizio dello Swing).
Perciò per me non avrebbe avuto senso lamentarmi perché stavo male a causa dell’infortunio, dal momento che non potevo cambiare quanto era accaduto. E nonostante sia assolutamente umano cercare la solidarietà altrui, anche questa reazione, in prospettiva stoica, è qualcosa che imponiamo agli altri per far star meglio noi stessi, in una situazione in cui, oltretutto, gli altri non possono praticamente fare nient’altro che compatirci.
Mostrarsi solidali con gli altri sarebbe perfettamente accettabile per uno stoico, ma esigere la solidarietà altrui quando stiamo male mi pare un po’ egoista. Pertanto, ho agito seguendo le parole di Epitteto: “ho accettato quello che mi stava accadendo come un fatto fisico, ho preso le precauzioni mediche che mi sembravano opportune (antidolorifico e riposo assoluto) e ho calibrato il mio atteggiamento mentale su quella che era la mia condizione”.
Non potendo né lavorare né scrivere, ho deciso che non ci avrei nemmeno provato, visto che comunque c’erano altre cose che invece potevo fare (leggere) e molto probabilmente mi sarei ripreso in breve tempo, cosicché avrei presto avuto occasione di lavorare e scrivere.
Un’ultima cosa: quel “non mi riguarda” è stato spesso equivocato.
L’idea non e che non dovremmo preoccuparci di quello che ci accade. Il mio infortunio, per esempio, mi ha costretto a ripensare che, secondo gli stoici, la salute era un indifferente preferibile, qualcosa che dovrebbe essere perseguito soltanto quando non comprometta la nostra integrità e la nostra virtù.
Ma quando davvero non è possibile fare nulla in rapporto a una data circostanza, allora dovremmo smettere di preoccuparci (smettere di cercare di fare qualcosa al riguardo) proprio per il fatto che essa non dipende da noi.
Questo concetto è stato definito “assioma della futilità” da Larry Becker, il quale lo illustra incisivamente nei seguenti termini:
Le persone agenti non devono tentare direttamente di fare (o di essere) qualcosa di logicamente, teoricamente o praticamente impossibile.
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